Ci sono giorni in cui benedici il maltempo. L’assenza di sole pieno fa salire un’irrefrenabile voglia di muoverti, di esplorare, di scoprire. Nuovi vini e cantine sconosciute, s’intende.
Prima tappa: Castello di Pornassio, in una splendida e silenziosa cornice della terra di mezzo tra la Liguria di Ponente e il Piemonte disabitato, lungo la strada che conduce a Col di Nava, in piena Valle Arroscia. Da tempo immemore qui si coltiva l’uva Ormeasco, sinonimo ligure che indica il Dolcetto, il cui prodotto finale Ormeasco di Pornassio, in tutte le sue declinazioni (Ormeasco di Pornassio, Ormeasco di Pornassio Superiore e Sciac-Trà), si è guadagnato la DOC.

I dislivelli che arrivano a 550 metri sul livello del mare, permettono una produzione che varia dalle 20 alle 25.000 bottiglie l’anno, a seconda delle condizioni climatiche d’annata. Ed è qui, in un luogo che chiude la valle, tra la montagna e il mare, che le uve trascorrono un ciclo vitale in condizioni di esposizione ideali, per produrre un vino antichissimo.
“Carlo, due signori vogliono il vino”. Ci accoglie Carlo, marito di Elisa, cognato di Raffaele e Agostino Guglierame, famiglia che conduce l’azienda da generazioni. Non avremmo potuto chiedere accoglienza migliore. Carlo ci racconta delle sue origini lombarde e dell’amore che in passato lo ha legato indissolubilmente a questa terra, e ad Elisa.
Ci accoglie al piano terreno del Castello, tra ciò che resta di un borgo antico che da sempre vede le mani dell’uomo lavorare la terra. Nel 1303 il Marchesi di Clavesana, che al tempo abitavano il Castello, piantarono esattamente qui il primo vitigno, una zona quindi storicamente vocata. Intermezzo d’archivio e testimonianze all’interno dello Statuto del Gestores Universitatis Pornaxi redatto dal Notaio Gandalini.
La cantina del Castello produce tre tipologie di vini, due vinificati in rosso e uno in bianco nella versione “Sciac-Trà”, per creare l’Ormeasco nella variante corallo. Iniziamo dal principio. Sull’Ormeasco Superiore non si discute. Di color pietra rubino, fermo, limpido, e secco, è selezionato in quantità limitate e invecchiato in botti di legno. Riposa in bottiglia almeno un anno e così si guadagna l’appellativo Superiore.
Delicato e al contempo deciso, dal carattere spiccato ma riservato, classicamente abbinato a carni rosse e cacciagione. Per spirito controcorrente, lo oserei anche da solo, senza contaminazioni di gusto, grazie alla delicatezza tonda che lo contraddistingue. Da aprire almeno un’ora prima per percepire il territorio.
Facendo un passo indietro, diamo spazio all’Ormeasco di Pornassio, Rosso Tradizionale. Si presenta rosso rubino, limpido. Al naso si dichiara nell’immediato vinoso e terroso, e chiudendo gli occhi si immaginano le montagne circostanti. Più asciutto e leggermente più amarognolo rispetto al fratello maggiore, non risparmia note di bosco. Ottimo anche a temperatura ambiente e abbinato a piatti tipici regionali: primi piatti al sugo, farinata di ceci. Formaggi, se invece siete alla ricerca del sublime.
Infine, lo Sciac-Trà, da non confondere assolutamente lo Sciacchetrà, passito levantino originario delle Cinque Terre. Rosato, fermo, secco, vinoso dal primo sorso, fiero come gli imperiesi, asciutto e per niente pettegolo. Il suo nome deriva dal metodo di vinificazione “Schiaccia e togli”, per via del breve contatto con le bucce. Un gusto che arriva dritto al cuore, una bocca che racchiude la terra d’origine. Perfetto con carpacci di pesce, divino con Vitel Tonnè.
Visitare l’azienda vitivinicola Eredi Ing. N. Guglierame fa scoprire il valore del tempo e la profondità sentimentale che racchiude la ricchezza delle risorse di una terra tramandata con consapevolezza e dedizione costante. In quei 2.5 ettari che si offrono alla vista con giochi di dislivelli di terreno, si ereditano da secoli passione, lavoro, senso di appartenenza familiare e amore per qualità di uve rarissime e semi-sconosciute, il cui vino è in grado di mantenere lo stesso carattere deciso nell’osteria di provincia e nel palato di raffinati cacciatori di gusto.
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