Siamo a nord-est della Minervois, alle pendici della Montagna Nera, in un villaggio conosciuto in tempi antichissimi con il nome Cella Vinaria. Il luogo è ideale per la coltivazione della vite, poiché il forte sole è mitigato dai venti del mare, per risultati enologici di grande eleganza.

Ci accoglie Jean – Cristophe Piccinini, vignaiolo indipendente, erede e figlio di quel Maurice Piccinini che molto ha fatto per questi vini e per questo luogo.
Jean-Cristophe è sbrigativo, rude e non sembra gradire le improvvisate.

Ci parla velocemente delle caratteristiche dei suoi vini, dice di avere poco tempo, stava lavorando quando l’abbiamo chiamato. Prima di arrivare avevo preso qualche informazione dell’azienda e subito gli chiedo del padre, mito e benefattore. L’espressione di Jean-Cristophe si fa più calma e molle.
Batte un cuore italiano dietro a quella ruvidità caratteriale.
Lui il padre Maurice lo ricorda come un gran lavoratore, un ragazzino che ha dovuto rinunciare al sogno degli studi per mettersi a lavorare nei campi con un’anziana zia di queste parti, e imparare tutto da solo, soprattutto che la vita non è quella comoda che sempre si desidera.
Jean-Cristophe prende una taglierina appoggiata sul tavolo e simula un taglio sulla mano: “solo se ti fai male impari a vivere”. Da queste dure lezioni, inizia una carriera appassionata da enologo, e Maurice in breve tempo diventerà Presidente della Cooperativa de La Livinière, oltre che consulente e punto di riferimento per tutti gli agricoltori del territorio, tanto che ottenne il riconoscimento del Cru La Livinière, grazie all’aiuto di un nucleo di persone che a questo progetto congiunto ci credeva davvero. Era il 10 settembre 1998 quando nacque AOC Cru La Livinière, denominazione che ha conferito il giusto premio e riconoscimento alla bellezza di questo vino, alla bellezza di questi luoghi, alla loro migliore espressione.

La lunga lezione appresa fa concretizzare a Jean Cristophe il sogno dell’apertura della Cantina – Domaine Piccinini – nel 1991, sui bastioni del vecchio castello. Jean – Cristophe realizza di essersi lasciato andare oltre i suoi standard emotivi, e lo salutiamo con il vino sotto braccio.
Al parcheggio che costeggiava la cantina, lo vediamo di nuovo venirci incontro, mentre guidava un camioncino Renault bianco.
“Salite, vi porto a vedere i miei vigneti. Venite da lontano e siete dei veri appassionati, è giusto che vi porti con me”.
Avrei voluto commuovermi. Jean-Cristophe è tra le categorie umane che preferisco: rude, scontroso ma che di quelle persone che quando fanno qualcosa è perché usano il cuore, altrimenti non la fanno. Aveva capito che il vino era l’unico vero scopo della vacanza e io avrei voluto fermare il tempo in quell’istante di umanità. Partiamo e ci addentriamo nella macchia mediterranea. Il silenzio e le cicale, gli arbusti, le rocce e la poesia di un paesaggio in festa e in piena espressività.

Inchiodiamo. Jean- Cristophe mi invita a prendere un chicco, a spremerlo fino alla fuoriuscita del vinacciolo.
“Assaggia”, mi dice, “se lo spezzi intero, allora l’uva è pronta, se si frantuma troppo, è ancora leggermente immatura”.
Era pronta, era dolce e prometteva un’intensa aromaticità. Lo assaggia anche lui e conferma contento. Stavamo facendo un’esperienza autentica, spesso stavamo in silenzio per godere meglio della meraviglia del paesaggio intorno a noi.

Alcuni dati: sul terroir di La Livinière il Domaine Piccinini si estende su 40 ettari, ed è coltivato a viti fino a 60 anni. 120.000 bottiglie, di cui 84.000 di rosso, 24.000 di bianco e 12.000 di rosato. Mi spiega che i vini rossi DOP provengono da uve diraspate e vinificate a piena maturità, i rossi Minervois e La Livinière, questi ultimi prendono il nome Helius Petri in etichetta, architetto antico che ha progettato Livinière, poi ancora “Clos l’Angely” e “Cuvée Line e Laëtitia”, provengono da selezioni di vecchie viti e fanno macerazioni lunghe e invecchiamento in botti nuove.
Eravamo in compagnia di una persona che è un tutt’uno con la sua passione per questa terra incantata, in un’ottica di innovazione che prevede metodi di vinificazione sempre nuovi e sperimentali, cuvée uniche.
Il percorso continua…
…. da un altro vigneron indipendant, questa volta pioniere dell’attività vitivinicola che sta già tramandando ai figli. Lui è Jean -Luc Dressayre, in passato agronomo, convertito ad enologo, che ci accoglie davanti alla sua casa-tenuta. Quando gli chiedo cosa lo ha spinto a cambiare mi risponde “semplicemente il vino mi piace”. Mi sento a posto con me stessa e in compagnia di chi sa capire. Nel 2004 acquista dieci ettari per piantare i tipici frutti della Minervois: Carignan, Grenache, Syrah e Mourvèdre.
Qui la terra esplode di qualità e quantità, grazie all’argilla calcarea e all’arenaria. Dimenticavo, siamo nella tenuta Mas Paumarhel, titolo che suona esotico e catalano, ma che altro non è che la sintesi dei nomi della tre figlie di Jean-Luc: Pauline, Marion ed Helène. Romantico, paterno, bello e pulito.
Nella Francia rurale esclusa dal turismo di massa, gli eccessi e l’immagine non esistono.
La gamma è ampia e il nostro viaggio è ancora lungo; vale quindi la pena soffermarci sul loro cavallo di battaglia: Mourel Rouge AOP Cru La Livinière 2016, vino più rappresentativo dell’azienda. L’annata 2014 è stata eletta ambasciatore vintage. Uve protagoniste: Mourvèdre, Syrah e Grenache. Granato e lucente, naso che rimanda alla ciliegia, bocca che sa di liquirizia. Dolce, avvolgente, voluttuoso. Lunga persistenza balsamica: c’era il territorio in quel calice. Darà probabilmente il massimo tra 4 o 5 anni, ma berlo ora è già un bellissimo viaggio.
Prometto che non vi tratterrò ancora molto, ma l’intensità del contatto umano e della novità di vini nuovi è davvero entusiasmante.
Ostal vuol dire casa in lingua occitana, ma è un vocabolo che esprime soprattutto il concetto di luogo familiare. Vi ho già parlato dell’accoglienza di questa terra?

Un pò di storia: questo posto è di proprietà della famiglia Cazes, originari del Medòc. Jean-Michel Cazes, proprietario dello Château Lynch-Bages a Pauillac, trascorse diverso tempo in Linguadoca, già consapevole dell’enorme potenzialità dei terroir della regione. Scoprì così La Livinière, dove nel 2002 acquistò un dominio di 150 ettari.
L’azienda divenne in breve tempo un vero e proprio progetto di innovazione enologica: in seguito ad uno sradicamento massivo, vennero ripiantate le migliori varietà locali e messo a punto un nuovo sistema di drenaggio del suolo, con la finalità di esprimerne al massimo le potenzialità. Vitigni: Syrah, Grenache, Mourvèdre e Carignan.
Qualche nota di degustazione
Demain de l’Ostal Grand Vin Minervois La Livinière 2015: Espressione mediterranea composta da 90% Syrah e 10% Grenache. Rubino intenso e oscurità brillante. Classico bouquet di frutti rossi e viole, morbido e caldo. Spicca anche la vaniglia tra sontuosi tannini. Ottime potenzialità di invecchiamento. Poi l’etichetta, bellissima. L’eclissi potente, come il primo sorso. Tutto merito del Syrah e della fresca Grenache che fa intravedere i suoi raggi.

L’Ostal Rosè IGP Pais d’Oc il compromesso pallido del precedente, composto da 50% Syrah e 50% Grenache. Pulito, chiaro, delicato. Bocca complessa in un mix di rosa e melograno, palato freschissimo. Chic e diplomatico.

Ultimissimo sforzo:
Volevo fare uno di quei vini che parlano, che cristallizzano le amicizie, che creano momenti magici intorno a un tavolo
Siamo all’ultima tappa del viaggio, introdotta dalle parole di John Bojanowski, proprietario e fondatore del Clos du Gravillas, una cantina a St. Jean de Minervois, frazione di Minerve dove si produce il Muscat più famoso della regione.
John viene dal Kentucky e costruisce il suo angolo di paradiso nel bianco dei calcari fossili con la moglie Nicole, originaria di Narbonne. Sarà ancora il bianco ad ispirare le etichette dei loro vini con lo spicchio di luna. I loro prodotti sono tutti intensi, minerali, importanti. Forse anche impegnativi per la felicità contagiosa che ispira questo posto. E ancora: biodiversità, fresco dal mare e dalla Montagna Nera, agricoltura biologica.
Passiamo al contenuto: 11 vini da vitigni che coprono 8 ettari e mezzo di superficie, a 270 metri sul livello del mare.
Particolarissimo l’Orange À fleur de peau 2015, fatto con 100% Muscat, una sperimentazione che si ottiene macerando le uve con lo stesso metodo di un rosso. Ho adorato il Muscat 2012, definito da John “dolce come una canzone di Jacques Brel“, e io non avrei saputo trovare definizione migliore.
Vièhl Carignan 100% uve Carignan, da un vitigno di oltre 100 anni salvato da John, convinto che spesso certi vitigni diano il meglio di loro stessi da vecchi. E’ intenso, è puro, è ampio, equilibrato e sinuoso. Non parlerò di abbinamenti, è uno di quei vini che parlano soprattutto se lasciati da soli.
Poi c’è Sur la Lune 2012 – Carignan 50%, Syrah 50%, un omaggio al suolo di Cazelles, un omaggio al candore lunare.
L’esplosione vitale del terroir la troviamo nel Sous les Cailloux des Grillons, un concentrato di Syrah, Cabernet Sauvignon, Grenache, Counoise, Terret e Mourvèdre. Vivacissimo, si fa bere molto bene ed è perfetto per accompagnare le fresche sere d’estate in giardino, o le serate invernali nostalgiche di luce. E poi ce ne sarebbero altri, ma questi hanno lasciato l’impronta.

Il viaggio in famiglia finisce qui, ma con la promessa di tornare in queste terre per riascoltare l’anima antica dei luoghi e dei produttori.
Penso che mi basterà fino al prossimo ritorno: la persistenza è molto lunga e intensa, e a volte l’animo fa fatica a lasciare andare certe sensazioni quando le ha provate.

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